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Franco. Permesso? — Scusino! — Ersilia? Dov’è? dov’è? È qua? Dov’è?

Ludovico (sorpreso col Cantavalle dall’irruzione improvvisa). Ma come? Chi è lei?

Franco. Sono Franco Laspiga. Quello, per cui...

Cantavalle. Ah! Il signor Laspiga! Eccolo qua!

Ludovico. Qua anche lei?

Franco. Sono stato all’ospedale: era uscita! Sono corso al giornale, dove ho saputo...

S’interrompe per rivolgersi a Cantavalle.

Chiedo perdono: lei è lo scrittore Ludovico Nota?

Cantavalle. No! Io? Eccolo!

Franco. Ah, è lei?

Ludovico (seccatissimo). Io. Ma perdio, com’è? Lo sanno tutti, allora?

Cantavalle. Eh, Maestro, voi vi scordate chi siete!

Ludovico (con stizza, alzando le braccia). Ma fatemi il piacere!

Cantavalle. Il vostro gesto ha fatto chiasso!

Franco (stordito, confuso). Che gesto? Dio mio, mi dicano! Non è dunque qua?

Ludovico (quasi inveendo contro Cantavalle). Non mi sono mica inteso di metterla in piazza, io, e di mettermi in piazza con lei!

Cantavalle. Ma no! Che dite?

Ludovico (furioso). Dico che mi sono seccato di tutto questo chiasso!

A Franco:

Lei può credere che la signorina è qua da appena un’ora.

Franco. Ah, è qua? E dove? dove?

Ludovico. Sono andato a prenderla io all’uscita dall’ospedale. Non sapeva dove andare e le ho offerto ricetto in casa mia; pronto questa sera ad andarmene a dormire all’albergo.

Franco. Io le sono grato...

Ludovico (scoppiando, al colmo della stizza). Perché m’è grato? Perché non sono piú un giovanotto? Per questo m’è grato! Finiamola! Che cosa vuole lei qua?

Franco (subito, con foga). Io? Riparare, signore, riparare! gettarmi ai suoi piedi, farmi perdonare!