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vestire gli ignudi | 885 |
Onoria. Si slaccerà, a letto...
Ersilia. No, grazie: mi lasci stare. Posso, posso resistere per ora.
Cantavalle. Le conseguenze del veleno, si sa! Ma vedrà che, adesso, con le cure —
Ludovico. — e la tranquillità!
Onoria. Io sono a sua disposizione, figliuola mia: si serva di me, come vuole... Se ha bisogno, mi chiami.
Ersilia. Sí, grazie, signora.
Onoria. E allora mi ritiro...
Cantavalle. Riverisco, signora.
Onoria (piano, andandosene, a Ludovico). Non la facciano parlare! Un po’ di considerazione! Non vedono che faccia ha, povera creatura?
Via per la comune. Ludovico si reca a chiudere l’uscio.
Cantavalle. Sono dolente del disturbo...
Ludovico (seccato). Vi prego, caro Cantavalle, di far presto!
Cantavalle. Due minuti, due minuti, caro Maestro!
Ludovico. Ma insomma, si può sapere che diavolo vuole ancora codesto signor console?
Ersilia (sbalordita, atterrita). Il console?
Ludovico. Lui, lui, già.
A Cantavalle:
Ersilia (c. s.). Ma che forse è qua?
Cantavalle. Qua, sí: è venuto jeri a far l’ira di Dio al giornale, signorina mia!
Ersilia (tra sé, disperandosi). Oh Dio... oh Dio...
Ludovico. E di che cosa vuole una smentita?
Cantavalle. Ma di tutto, dice.
Ersilia (a Cantavalle). Vede, vede il male che io non volevo, e che lei m’aveva promesso di non fare?
Cantavalle. Io? Male? Che male?
Ersilia. Ma sí, di stampare il nome della città, la qualità delle persone!
Ludovico. Ah, dunque una smentita generale? E come sarebbe?
Cantavalle. Perdonatemi, Maestro, rispondo alla signorina: