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vestire gli ignudi 877


essere piú niente, se fosti la pietà di quanti lessero codesti tuoi casi in quel giornale? Tu non sai la commozione che si diffuse in tutta la città alla narrazione di essi, l’interesse che suscitasti. Ne hai una prova in me!

Ersilia (con ansia che nasce da quella diffidenza). E ce l’hai ancora?

Ludovico. Che cosa?

Ersilia. Quel giornale! Vorrei leggerlo, vorrei leggerlo. Ce l’hai ancora?

Ludovico. Credo, sí. Devo averlo conservato.

Ersilia. Cercalo, cercalo! Fammelo vedere!

Ludovico. Ma no! Perché vuoi tornare adesso a turbarti?

Ersilia. Fammelo vedere, per piacere! Voglio leggere, voglio leggere quello che scrissero.

Ludovico. Ma quello stesso che dicesti tu, suppongo.

Ersilia. Non ricordo piú bene quello che dissi in quel momento, capirai! — Voglio vedere. Cercalo!

Ludovico. Chi sa dove l’avrò messo! Col mio disordine... Lascia. Poi lo cercheremo insieme.

Ersilia. Raccontava tutto, a lungo?

Ludovico. Uh, piú di tre colonne di cronaca. D’estate, capirai, i giornalisti — càpita un caso come il tuo — una bazza: riempiono il giornale.

Ersilia. E di lui, di lui, che dicevano?

Ludovico. Mah, che ti aveva ingannata.

Ersilia. No, dico di... di quell’altro!

Ludovico. Del console?

Ersilia (vivamente contrariata). Diceva il console?

Ludovico. Il nostro console a Smirne.

Ersilia (c. s.). Oh Dio mio, anche il nome della città? M’avevano promesso di non dirlo!

Ludovico. Oh sí! I giornalisti...

Ersilia. Ma che bisogno ce n’era? Il fatto restava tal quale anche senza la determinazione del luogo e della qualità delle persone. Ma che dicevano?

Ludovico. Che dopo la caduta della bambina dalla terrazza —

Ersilia (coprendosi il volto con le mani). Povera piccina mia! Povera piccina!

Ludovico. — s’era dimostrato d’una crudeltà feroce.

Ersilia. Non lui! La moglie, la moglie!