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876 | maschere nude |
Onoria. Vado giú, vado giú a domandare! Che disgrazia! Che disgrazia!
Via in fretta per la comune.
Ludovico. Per un budello cosí lercio, che nei giorni di pioggia non si sa piú come camminarci, un traffico indiavolato di carrozze, di carri, d’automobili. E ci fanno anche il mercato! Hanno il coraggio di farci anche il mercato!
Ersilia (dopo una pausa, con gli occhi fissi, impauriti). La strada... Che orrore!
Ludovico. E che scuola per chi scrive! Si libera degli impedimenti volgari, l’immaginazione. Come se si campasse sulle nuvole! Ma la strada c’è, con la gente che vi passa, i rumori della vita; la vita degli altri, estranea ma presente, che frastorna, interrompe, intralcia, contraria, deforma... Noi vogliamo stare insieme, comporre insieme una bella favola? Sí, e supponi che fossi stato io, per caso, giú nella strada, investito. Che staresti a fare piú qua, tu? Ma già t’avvenne d’avere interrotta la vita cosí, da un caso imprevisto; la caduta di quella bambina dalla terrazza.
Pausa.
Ersilia (assorta, tentennando lievemente il capo). Servire... obbedire... non potere esser niente... Un abito di servizio, sciupato, che ogni sera si appende al muro, a un chiodo. Dio, — che cosa spaventosa, non sentirsi piú pensata da nessuno! Nella strada... — Vidi la mia vita, non so, col senso che non esistesse piú, come sognata... con le cose che mi stavano attorno, le rare persone che passavano per quel giar— dino di mezzogiorno, gli alberi... quei sedili... — e non volli, non volli esser piú niente...
Ludovico. Ah no — questo — vedi? — questo non è vero.
Ersilia. Come non è vero? Mi volli uccidere!
Ludovico. Già! Ma creando tutto un romanzo —
Ersilia (di nuovo aombrata). Come, creando? Credi che abbia inventato?
Ludovico. No no; dico in me, che lo creasti in me, inconsapevolmente, raccontando i tuoi casi.
Ersilia. Quando mi raccolsero in quel giardino —
Ludovico. sí; e poi all’ospedale. Scusa, come non volesti