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pur di salvare da quella repulsione la bambina). Tu dici per me, è vero, Livia? — Non dici per la bambina!

Livia. Ma se lo dico per voi — è anche per lei!

Fulvia. No — ah — no! Perché — comunque tu pensi di me — voglia o non voglia — quella è tua sorella!

Livia. Quando lo sarà! Per ora, no. — Non è vero!

Fulvia. Come non è vero?

Livia. Non è vero, perché voi non siete la moglie di mio padre!

Fulvia. No? E che sono?

Livia. Lo sapete meglio di me, che cosa siete!

Fulvia (di nuovo, con quel baleno di speranza). Mi sdegni per questo? — Ah, ma se è per questo — no, Livia! — Non so come tu abbia potuto pensare...

Livia. Dove sono gli atti del vostro matrimonio?

Fulvia (rivolgendosi un po’ alla zia Ernestina, un po’ a Betta). Ah, è questa la congiura? Voi due avete fatto ricerche?

Indica Betta e Livia.

Livia. Non ci sono! non ci sono!

Fulvia (con scatto di fierezza, per troncare). Ci sono! — Tu hai cercato male! Ci sono!

Livia. Non basta negare! — Se diceste dove?

Fulvia. Per carità, Livia, non farmi dire... — Per carità di te stessa, piú che di me — non cimentarmi; te ne scongiuro. Sono veramente stanca.

Livia. No. Non c’è bisogno che diciate. A me mi basta questo.

Fulvia. Che ti basta?

Livia. Ma questo riconoscimento.

Fulvia. Quale?

Livia. Ma che nascondete cose che — per carità di me — non potete dire.

Fulvia. Ma no! Io non nascondo nulla!

Livia. M’avete scongiurata di non farvi dire... Che cosa? Cose che riguardano me?

Fulvia. No — no — non dico questo...

Livia. E allora? — Cose che riguardano voi?

Fulvia. Me — sí...

Livia. Ma io me le immagino!

Fulvia. Tu non t’immagini niente! Non son cose che tu possa