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Sono in iscena Livia e la zia Ernestina. Non sono piú vestite di nero né l’una né l’altra. Livia è irrequieta, smaniosa. Sta seduta presso un tavolinetto, su cui stanno libri, riviste. Ne prende in mano qualcuno; lo sfoglia; lo butta. La zia Ernestina è in piedi e va di qua, di là, per riscaldarsi. La luce del giorno manca a poco a poco.
Zia Ernestina. Pareva dovessero arrivare col buon tempo; ho paura invece che stia per guastarsi di nuovo.
Pausa.
Pausa.
Livia (buttando via una rivista, risponde sgarbatamente): No.
Zia Ernestina. Eh, beata te!
Pausa. Si stropiccia le mani.
Pausa.
Livia. Non lo so.
Zia Ernestina. Sono piú di quattr’ore che è di fuori. Mi pare che si dovrebbe pure preparare qualche cosa per l’arrivo. Non c’è preparato niente!
Livia (alzandosi indignata). È preparato tutto!
Poi, dopo una pausa:
Zia Ernestina (con un sorriso di smorfiosa mansuetudine). No, sai com’è? Penso che gioja fu, quando tu nascesti...
Livia. E che c’entro io?
Zia Ernestina. Dopo tutto, è una tua sorellina...
Livia (con scatto irresistibile). Stupida!