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come prima, meglio di prima 837


Ma forse... — sai perché?

Si china un po’ verso lei sorridendo, per mostrarle il capo, e sollevando con una mano una ciocca de’ suoi capelli, aggiunge:

Questi capelli...

Livia. Che vuoi dire?

Fulvia. È tinta anche lei, lo sai. Me li ha guardati con un viso cosí arcigno... Teme forse che la sua tintura debba sfigurare troppo accanto alla mia. Tu non puoi comprendere ancora certe debolezze...

Livia (dura, recisa). Ah, certo! Meglio che non le comprenda!

Fulvia (avvertendo che lo sdegno di lei si riferisce solo ai suoi capelli tinti e non a quelli della vecchia). Eppure... eppure io seguito a tingermeli per te, sai?

Livia (con nausea). Per me?

Fulvia. Per te, sí. E per consiglio di tuo padre.

Livia. Non capisco.

Fulvia. Non capisci, lo so. Ma immagina che io abbia naturalmente, sotto questa tintura, i capelli dello stesso colore dei tuoi — ma proprio tali e quali!

Livia. Ebbene?

Fulvia. Potresti pensare che il colore a codesti tuoi ti sia potuto venire da quelli di tua madre...

Livia (ponendosi ambo le mani sul capo, come a riparare i capelli di sua madre, e dice, scostandosi): Sí, lo so!

Fulvia. Te l’ha detto tuo padre? Ed ecco perché mi consiglia di seguitare a tingermi i miei. E io lo faccio: mentre non vorrei piú, ti giuro.

Con un desiderio angoscioso, improvviso che la intenerisce, al ricordo di se stessa giovine come è ora la figlia:

— Ti guardo codesti ricciolini teneri sulla nuca... Mi verrebbe voglia di prenderli con due dita e allungarteli pian piano... senza farti male...

Livia ha un moto istintivo di ribrezzo.

Fulvia (lo nota, ma quasi per pietà di se stessa dice con un sorriso indefinibile): Tu provi il solletico solo a sentirtelo dire.

Livia (c. s. con uno scatto irrefrenabile). No!

Fulvia. È ribrezzo delle mie dita? — Hai ragione. Anch’io