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836 maschere nude


Fulvia. Lo so anch’io. M’hanno detto che ha portato con sé anche un baule...

Livia. Dunque, vedi...

Fulvia. Io t’assicuro, Livia, che per conto mio non avrei avuto nulla in contrario. Dissi anzi a tuo padre che avrei avuto piacere ch’ella rimanesse.

Livia. Ah, dunque è lui?

Fiera, dura, guardandola negli occhi:

Perché?

Fulvia. Non per me, credi, Livia. — Lo so; tu devi sospettare cosí.

Livia. Sospettare... È cosí chiaro, mi sembra!

Fulvia. No, scusa. Perché allora ti dico che potresti ricordare che già un’altra volta — senza che ci fossi io — egli non la volle piú in casa e la mandò via. Me l’ha detto lui — se è vero...

Livia. Allora, sí! È vero. — Ma il caso, ora, sarebbe diverso.

Fulvia (sempre con accorata e piú intensa dolcezza). Perché ora ci sono io — tu dici. E l’ho detto anch’io, difatti, a tuo padre. Gli ho fatto notare appunto, che tu ne avresti incolpato me.

Livia. Non ostante questo, però, — per incarico di lui — tu l’hai licenziata.

Fulvia. Ma non l’ho licenziata io! Né altri! — Che vuoi che ti dica? Se ha deciso d’andarsene, cosí da un momento all’altro, sarà perché... non so, dopo aver parlato con me, qua, avrà concepito forse... avversione, antipatia. — È il mio destino, qua, per quanto io faccia di tutto... — E tu, se potessi essere un po’ giusta verso di me, dovresti riconoscerlo. Credi, sono stata con lei affabilissima. Ma mi hanno detto che è stata sempre un po’ bisbetica e fastidiosa...

Livia. Io le voglio bene!

Fulvia. Me l’immagino. E credi che l’ho trattata affabilmente anche per questo. Io non so... abbiamo finanche riso insieme. Non so proprio di che cosa si sia potuta avere a male...

Tentando di volgere in riso, affettuosamente, il discorso, appigliandosi a ciò che ha di comico la figura della zia Ernestina: