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come prima, meglio di prima 831

subito staccando, imperiosamente e piano:

Zitta!

Rientra dalla comune Betta.

Betta. Signora, c’è il professore: il signor Cesarino.

Fulvia. Oh Dio, Livia oggi non prende certo la lezione! Bisognava farglielo sapere, senza farlo venire fin qua...

Betta. Già. Ma la signora sa che vengono anche per...

fa cenno con la mano: «per mangiare».

Fulvia. Ah, c’è anche la signora Barberina?

Betta. Sissignora. Stanno tutt’e due a scuotersi di là tutta la polvere d’addosso, sudatissimi.

Fulvia. Fateli entrare, poverini.

Betta via.

Fulvia (piano, accostandosi). Attenta ora, mi raccomando, zia Ernestina!

Entrano il signor Cesarino e la signora Barberina. Due tipi buffi: quello, fino fino, calvo, ma pure con molti capelli tutt’intorno al cranio e sugli orecchi, candidissimi e rigonfi. È paonazzo dal gran sole che ha preso, venendo a piedi. Perduto in un abbondantissimo abito nuovo di seta cruda evidentemente tagliato e cucito dalla saggia moglie, ha ripiegato da piedi non solo i calzoni, ma anche sui polsi, piú d’una volta, le maniche, anche per il caldo, che gli fa tenere un gran fazzoletto, bagnato di sudore, in mano. La signora Barberina, atticciata e balorda, sempre in apprensione per la svolazzante vivacità del marito, veste un abito chiaro, d’una chiarezza che strilla sulla sordità pesante della sua bruna carnagione pacifica, e ha un vistoso cappellino di paglia a sghimbescio, che le sta proprio un amore.

Signora Barberina (dalla comune). Permesso?

Fulvia. Avanti, avanti, signora Barberina.

Signora Barberina. Riverisco, signora.

Signor Cesarino (inchinandosi, sbracciandosi) Signora gentilissima...

Fulvia (facendo le presentazioni). — Mi permettano. Il signor Cesarino Rota, maestro di musica di Livia, e la signora Barberina, sua moglie. — La signorina Galiffi — prozía di Livia.