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come prima, meglio di prima 819


da cui lei è nata — che io non so! — E il bello è poi, che non lo sa neanche lei! — L’ombra, divenuta realtà! E che realtà! Ha ucciso in me, veramente, il mio istinto materno per lei! Ora piú che mai, che lo risento in me vivo per un’altra. — Via, via, via. — Non voglio piú pensarci. — Si stia con la sua morta. E mi lasci qua — viva e in pace — per quella che verrà.

Silvio. Non dirlo! Sei stata qua con lei — son quattro mesi ormai...

Fulvia. A sorriderle, su questa graticola a fuoco lento... — Dio mio, basta ti dico. Non ne parliamo piú.

Va a distendersi su una sedia a sdrajo.

- Discorsi che si fanno... Poi non ci si pensa piú.

Pausa tenuta.

— Questa notte mi sono svegliata. Mi son messa a pensare, calmissima. Sí, questo dolore c’è, questa cosa orribile nella mia vita. Ma pure... eh, si dorme! E se mi sveglio, posso mettermi a guardarmi le mani al lume del lampadino rosa...

Silvio, tentato, a questo punto le si fa presso, e la contempla lí distesa.

— Che?... — Niente... cosí... le mani... il letto... i mobili nuovi della camera... — La vita è uguale; e ha tante cose a cui posso pensare, oltre questo mio dolore... —

Scotendosi un po’:

Bisogna dire che non è vero che quando uno ha un dolore, non pensa piú ad altro. Pensa a tante altre cose. Io pensavo questa notte... indovina? Ah come vorrei essere, come vorrei essere allegra! E questo è segno, sai? che non sono una canaglia.

Silvio (che le si è fatto sempre piú accosto e ha seguitato a contemplarla). Per carità, che dici!

E fa per prenderle una mano.

Fulvia (ritraendo la mano). Va’ là, che ti piaccio ora, perché ho questi capelli cosí!

Silvio. No, Fulvia... Ti stanno bene, sí...