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di quell’anima santa, doveva sembrarle per forza un tradimento, cosí, all’improvviso, da un giorno all’altro.

Pausa.

Prima, sí ci avrà pensato... cosí, una volta l’anno.

Staccando:

Ma non è vero! non è vero! Si dimentica tutto! ci si adatta a tutto! È un’altra cosa ora! È quella sua, sí, vera gelosia, per conto della morta, ora.

Pausa.

Doveva nascerle per forza, appena entrata io qua. Prima, era lei come lei. Appena entrata io, a prender posto accanto a te, lei s’è fatta la rappresentante di quell’altra. Naturale. Colei che ne tiene il posto. Ha voluto tutto ciò che le apparteneva: i mobili, tutto. Ho dovuto darglieli io stessa. M’è parso giusto. Tanto questa menzogna s’è fatta realtà qua, per tutti: l’unica, l’unica, in cui viva tua figlia! Dico tua, vedi? Non la sento, non la sento piú realmente come mia! Non la sento! E non ti pare una cosa disumana? Bisogna ucciderla, ucciderla, questa menzogna, perché io sono viva, viva, viva!

Silvio. Per carità, per carità, Fulvia! Hai riconosciuto tu stessa la necessità di tacere — anche per te!

Fulvia. Proprio per me? Tu vuoi tacere per non offendere sua madre, ecco perché!

Silvio. Ma se sei tu!

Fulvia. Non è vero! Io per lei sono — questa — e non posso essere sua madre! Sono arrivata al punto di crederci io stessa! Mi pare, mi pare veramente figlia di quell’altra. È spaventoso! Fin dal primo momento che la vidi e dovetti frenare ogni impeto che mi lanciava ad abbracciarla, a rifarmela mia sul mio petto! Le parole riguardose che fui costretta a dirle, che lei quasi m’impose col suo contegno, sono rimaste — irremovibili — non solo, ma cosí, proprio — realtà — realtà — anche per me. La guardo, con quelle spallucce lí, con quell’aria, e non credo piú io stessa, proprio non sento piú, che glieli abbia fatti io, quegli occhi, quella bocca; come se veramente ci fosse stata qui un’altra,