![]() |
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. | ![]() |
come prima, meglio di prima | 815 |
Pausa. Poi, piano, tentennando il capo:
Silvio. Ma no... Me lo chiese, una volta...
Fulvia. E tu, là! subito la data. E tre messe... Di’ la verità: devi essere stato anche tu a ordinare a quella vecchia marmotta...
Silvio. E dàlli! Te l’ho detto! A furia di ripeterlo — forse per acquistarsi una maggiore benevolenza da Livia — è facile che quell’imbecille ci creda lei stessa, alla fine!
Fulvia. D’avermi tenuta morta tra le braccia?
Ride.
Silvio. Questo delle messe è un pensiero di Livia. Mi domandò una volta; non credetti di doverle dire di no.
Fulvia. Ma se l’hai accompagnata sempre in chiesa.
Silvio. Per farle piacere. Sai che non soglio andarci per me.
Fulvia. Ci andrai anche oggi!
Silvio. Non vado!
Fulvia. Voglio che tu vada!
Silvio. Non vado, non vado!
Fulvia. Non privarmi di questo spettacolo, che almeno, via, è da ridere! Pòstumo per me!
Staccando:
Silvio. E io le ho detto or ora che non vado.
Fulvia. Me lo fai dunque apposta?
Silvio. Che cosa?
Fulvia. Per farmi odiare di piú?
Silvio. Deve comprenderlo anche lei, e lo comprende, difatti, che ora è un riguardo, questo...
Fulvia (pronta, scoppiando di nuovo a ridere, allegramente). Che tu devi a me? Ah! ah! ah! ah!
Silvio. Ti va di ridere...
Fulvia. Ma sí, caro! È meglio che me la prenda a ridere!
Ride ancora.