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Fulvia (al Commesso che nelfrattempo avrà ripiegato e rimesso dentro la scatola tutti gli scampoli e i merletti). Scusi...

Commesso. Oh, per carità, signora!

Fulvia. Per farla finita, restiamo cosí: prendo il nansouk.

Commesso. Ah, benissimo! Creda, è la scelta migliore, signora.

Fulvia. La quantità che le ho detto.

Commesso. Benissimo. Ho già preso l’appunto. Le manderò allora tutto in giornata. Riverisco, signora.

Fulvia. A rivederla.

Il Commesso, reggendo la scatola, esce per la comune, mentre dal secondo uscio a destra rientra in iscena Betta.

Fulvia (subito, vedendola, in tono derisorio). La fate dire anche voi, dunque, una messa in suffragio dell’anima benedetta?

Betta (da vecchia volpe). Mi perdoni, signora. È uso, ormai. Ogni anno, in questo giorno... Mi perdoni...

Fulvia (sdegnata, severa). Perché volete che vi perdoni?

Betta. Ma perché forse quest’anno, ecco, si poteva non farne sapere nulla alla signora.

Fulvia. Sentite dunque che c’è qualche cosa di male in questo?

Betta. No, signora. Si fa per la povera figliuola...

Fulvia. Ah, per leil Non lo fate dunque per voi, né per la padrona morta?

Betta. Anche per me, sissignora, e per la povera padrona. È uso, le dico.

Fulvia. Tutti gli anni, dacché è morta?

Betta. Tutti gli anni, sissignora! Una la figlia, una io, una il signor dottore.

Fulvia. Anche Livia, da allora?

Betta. Eh, la prima, lei!

Fulvia. Ah, questo no, vedete! Non vi fate bene il conto, cara Betta! Livia doveva esser piccina, e non poteva pensare allora a far dir messe. Tranne che non ci abbiate pensato voi, per suo conto, o il padre.

Betta (rimanendo imbarazzata). Già... veramente... Sarà stato il padre...

Fulvia (ridendo). Come va, come va quest’affare? Voi dovreste ricordarvi, perché siete stata sempre qua, voi! Vi è morta tra le braccia, la padrona!