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810 | maschere nude |
cercavo. C’era una volta un’altra tela — fina cosí, morbida — ma ben piú solida!
Commesso. Dice forse cambrí, la signora?
Betta. Eh, ma le antiche mussoline!
Fulvia. No no non cambrí.
Commesso. Battista di lino? battista di cotone?
Fulvia. Non so. Voglio fargliela vedere. — Fatemi il piacere, Betta, salite su. Livia conserva ancora in quella vecchia cassapanca, — sapete?
Betta. Lo so.
Fulvia. Anche alcuni capi del suo corredino di nascita: li ho visti.
Betta. Sissignora. Vado.
Si avvia.
Fulvia. No, meglio... aspettate! Non ditele nulla. Pregatela di scender qui un momento.
Betta. Sissignora.
Via per il secondo uscio a destra.
Fulvia. Vedrà, vedrà che morbidezza e che altra solidità!
Commesso. Eh, ma lavato questo nansouk, sa come infittisce, signora? E creda che, quanto a morbidezza, non c’è niente che regga al paragone di questa pelle d’uovo.
Fulvia. Intanto restiamo d’accordo, è vero, per queste battiste qui colorate. Se ci fosse un lilla piú tenue...
Commesso. Sissignora, ne abbiamo in bottega. Ma anche questo mi pare che vada benissimo...
Fulvia. E quanto ai valenciennes poi no, proprio no: questi non vanno.
Commesso. Eh, lo so. È proprio da piangere, creda! Le condizioni presenti del mercato...
Entra dal secondo uscio a destra Livia. Ha poco piú di sedici anni. Seria, rigida, s’intorbida ogni qualvolta si sforza di guardare in faccia. È vestita insolitamente di strettissimo lutto. Fulvia non s’accorge in prima ch’ella è entrata.
Livia. Mi hai fatto chiamare?
Fulvia (voltandosi appena). Ah sí, Livia, vieni.
Vedendola cosí vestita di nero, e restando: