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come prima, meglio di prima | 797 |
Silvio (contenendosi). Io dico, che tu debba tenermi qua, ora, cosí...
accenna al Mauri.
Mauri. Ma so tutto io, sa! Di lei so tutto!
Silvio. Che sapete? Ciò che vi avrà detto lei, saprete! Dei miei torti. Non di ciò che ho sofferto per essi.
Fulvia. Molto hai sofferto?
Silvio. Molto — se mi ha condotto qua. Non m’obbligherai a dirlo davanti a un estraneo.
Fulvia. Ah no, caro, fuori! fuori! — Perché questo estraneo, caro, è qua non tanto per me quanto per te.
Mauri. E io non sono un estraneo per lei!
Indica Fulvia.
Silvio (rispondendo a Fulvia). Per me? Che vuol dire?
Fulvia. Oh! d’un gran professore come sei ora, non s’immagina certo! Quasi ho soggezione io stessa, a dirlo. Ma se sono qua — e cosí — con questo accanto, o con un altro — via, tu sai bene che è per te — per te, com’eri prima! — Che vuoi? posso ricordarmi soltanto d’allora, io! Di quando giocavi con me, che avevo appena diciott’anni, come un gatto col topolino — per il gusto di vedere dove sarei arrivata. — Ecco qua, dove sono arrivata. — E tu hai molto sofferto! — Sarei curiosa di saper come.
Silvio. Te l’ho detto, come.
Fulvia. No: scusa: m’hai detto anzi, che non ti riesce di soffrire.
Silvio. Che non sento — t’ho detto, — di toccare la mia sofferenza: in me, in te... Questo t’ho detto!
Fulvia. Ah già! Il vuoto, sí.
Silvio. Tu non puoi comprendere. E certe cose non si spiegano.
Fulvia. Non avevi nessuno con te?
Allude, con questo, alla figlia, e s’infosca piú che mai.
Silvio. Mi vedevo inetto...
Fulvia. Indegno, no?
Silvio. Anche indegno. Perché ho riconosciuto che tu eri andata via per causa mia. E perciò appunto non m’è riuscito di colmarlo, questo vuoto.