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prefazione | 67 |
gica, quella fantastica nascita è sostenuta da una vera necessità in misteriosa organica correlazione con tutta la vita dell’opera.
Che qualcuno ora mi dica che essa non ha tutto il valore che potrebbe avere perché la sua espressione non è composta ma caotica, perché pecca di romanticismo, mi fa sorridere.
Capisco perché questa osservazione mi sia stata fatta. Perché nel mio lavoro la rappresentazione del dramma in cui sono involti i sei personaggi appare tumultuosa e non procede mai ordinata: non c’è sviluppo logico, non c’è concatenazione negli avvenimenti. È verissimo. Neanche a cercarlo col lumicino avrei potuto trovare un modo piú disordinato, piú strambo, piú arbitrario e complicato, cioè più romantico, di rappresentare «il dramma in cui sono involti i sei personaggi». È verissimo, ma io non ho affatto rappresentato quel dramma: ne ho rappresentato un altro — e non starò a ripetere quale! — in cui, fra le altre belle cose che ognuno secondo i suoi gusti ci può ritrovare, c’è proprio una discreta satira dei procedimenti romantici; in quei miei personaggi cosí tutti incaloriti a sopraffarsi nelle parti che ognun d’essi ha in un certo dramma mentre io li presento come personaggi di un’altra commedia che essi non sanno e non sospettano, cosí che quella loro esagitazione passionale, propria dei procedimenti romantici, è umoristicamente posta, campata sul vuoto. E il dramma dei personaggi, rappresentato non come si sarebbe organato nella mia fantasia se vi fosse stato accolto, ma cosí, come dramma rifiutato, non poteva consistere nel mio lavoro se non come «situazione», e in qualche sviluppo, e non poteva venir fuori se non per accenni, tumultuosamente e disordinatamente, in iscorci violenti, in modo caotico: di continuo interrotto, sviato, contraddetto, e, anche, da uno dei suoi personaggi negato, e, da due altri, neanche vissuto.
C’è un personaggio infatti — quello che «nega» il dramma che lo fa personaggio, il Figlio — che tutto il suo rilievo e il suo valore trae dall’essere personaggio non della «commedia da fare» — che come tale quasi non appare — ma della rappresentazione ch’io ne ho fatta. È insomma il solo che viva soltanto come «personaggio in cerca d’autore»; tanto che l’autore che egli cerca non è un autore drammatico. Anche questo non poteva essere altrimenti; tanto l’atteggiamento del personaggio è organico nella mia concezione quanto è logico che nella situazione determini maggior confusione e disordine e un altro motivo di contrasto romantico.
Ma appunto questo caos, organico e naturale, io dovevo rappresentare; e rappresentare un caos non significa affatto rappresentare cao-