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792 | maschere nude |
posta, o meglio, quasi impostata in una grave e stanca aria di probità, che vorrebbe apparire da gran tempo serena, come lontanissima ormai da quelle passioni che pure or ora, in tempestoso fermento, lo hanno travagliato.
Al suo entrare Fulvia si rizza in piedi felinamente, con lo stesso animo che, tredici anni addietro, la condusse alla perdizione. È per lei, questo, il momento d’una prova suprema. E in tutto il suo aspetto sarà dunque la risoluzione ferma d’affrontar questa prova, già meditata e preparata oscuramente nella scena antecedente, a costo di qualunque crudezza, mettendo a nudo come un vivo lacerto la sua coscienza e quella di lui, con la piú brutale sincerità, avvalendosi anche della presenza di quel suo pazzo amante.
Silvio (notando la presenza del Mauri, ilare tra la ilarità degli altri, e l’aria di sfida della moglie). Ah, di nuovo qua?
Mauri (irrompente). — Sissignore. E son venuto per...
Fulvia (pronta, troncando, imperiosa). Lasciate parlar me!
Al marito, recisamente:
Don Camillo. Oh, subito, signora. Soltanto tengo a dichiarare al signor professore...
Fulvia (interrompendo di nuovo, per troncare). Che questo signore è entrato a forza. Va bene!
Mauri (a don Camillo, accennando a Fulvia). Ma se siamo già d’accordo!
La Nàccheri (al cognato). Se son d’accordo! Che storie!
Silvio (a Fulvia). L’hai forse chiamato tu?
Fulvia. Non l’ho chiamato io. Dobbiamo parlar di questo.
Silvio. Sento che c’è un accordo...
Fulvia. Nessun accordo. Non è vero!
Mauri. Io son venuto da me.
Fulvia. (c. s.). Aspettate a parlare!
Don Camillo. E su, su, andiamo noi, andiamo via!
Invitando col gesto a uscire il Roghi, Giuditta, e la Nàccheri.
La Nàccheri (rivoltandoglisi). Ecco, ecco... Ma diciamo anche noi, a nostra volta, al signore e alla signora, che noi qua...
Don Camillo (sulle spine). Ma no, via, Marianna, che dite?