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avrebbe dovuto invece buttarsi in ginocchio qua, davanti a te, e farsi lui perdonare — come me! come me! qua, cosí, ecco!

Le casca davanti in ginocchio e grida:

Perché tutti l’abbiamo ingannata, questa donna!

Fulvia (si leva da sedere senza scatto e dice piano, frigidamente, con disperata stanchezza): Dio mio, ancora codesto teatro... Che nausea!

Mauri (come se si vedesse con gli occhi di lei; lí in ginocchio, ma tuttavia non riuscendo a rialzarsi). Ah sí! nausea, sí! Hai ragione. Mi vedo; me n’accorgo io stesso!

Si copre la faccia con le mani, e dice piangendo:

Ma non sono io; è la mia passione, Flora! Non grido io: grida lei! Faccio nausea a me stesso, a sentirmi gridare cosí: ma non posso farne a meno! Non vorrei gridare, e grido!

Si alza infine risolutamente, come se d’improvviso, aforza, si riprendesse.

Sono venuto qua però per dimostrarti che non t’ho mentito, io, sai? La verità ti dissi: quella ch’era la verità per me; perché non ho avuto mai nessuno io nella vita, veramente per me; — tranne te, per pochi giorni! — Venti quanti sono stati? — non piú di venti, in tutta una vita!

Fulvia. Sí, va bene. Venti. Sono finiti. E dunque, basta.

Mauri. No! Come basta? No! — Adesso, Flora? Adesso che è finito invece l’inganno?

Fulvia. Ma che inganno? di che inganno mi parlate?

Mauri. Del mio! di quello che ti feci! — È finito! finito! — Mi sono liberato! sono libero ora!

Fulvia (fissandolo fosca, come se cominci a prestargli attenzione solo ora, per qualche idea che già le si matura dentro). Di che siete libero?

Mauri. Di disporre di me! Ho lasciato tutto! Il posto. Mi son dimesso. E mia moglie, sai? lei stessa, mi ha aperto la porta: — «Vattene!» — Felicissima.

La Nàccheri. Oh guarda!

Mauri (voltandosi a lei, pronto). Non mi ha mai amato! Non ha mai saputo che farsi di me! Vive per conto suo; ricca, con