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come prima, meglio di prima 777


Fa segno sull’indice.

E Dodo, mi scusi, signora Marianna, l’ho visto io partir di piazza dopo gli altri.

La Nàccheri. Questo non vorrebbe dir nulla, perché ha un cavallo, Dodo, per sua norma, che è un demonio peggio di lui. Anche a partir l’ultimo, arriva sempre il primo.

Giuditta (alla madre, guardando sempre). E difatti, guardi, guardi: ha già sorpassato la seconda e sta per sorpassar la prima. Tant’è vero che è lui!

La Nàccheri scrolla le spalle e viene in sala.

Don Camillo. Io non so, saran tutte in ritardo stamani. A quest’ora, di solito

la pèndola batte le undici

ecco, sono le undici gli altri giorni, alle undici, son di ritorno e si vedono alla seconda girata dello stradone su per la costa. A proposito, Giudi...

s’interrompe, imbarazzato, cercando di riprendersi:

cioè, dico...

La Nàccheri (di nuovo inviperita, chiamando). Giuditta! E vieni, corri qua a sentir che altro vuol domandarti tuo zio!

Don Camillo (c. s.). Ma niente, niente... Volevo dire una cosa...

forzandosi a far viso fermo

una cosa appunto, che mi pareva da domandar a lei piuttosto che a voi.

La Nàccheri (sfidandolo). E su, ditela! Sentiamo!

Don Camillo (volgendosi al Roghi). Ho insegnato al signor professore, prima che partisse, la malizia di far fermare al ritorno la vettura giú sotto il nostro orto, per tagliar la salita alla scorciatoja, anziché fare, con la vettura al passo, tutta la girata fin quassú in cima.

La Nàccheri (c. s.). E poi?

Don Camillo. Volevo appunto domandare alla Giuditta, se si era ricordata d’andare ad aprire il cancellino dell’orto giú.

La Nàccheri. Niente altro?

Rivolgendosi alla figlia, che si tiene in discosto, mortificata: