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Don Camillo (in attesa, rivolto alle due donne che guardano dalla scaletta dell’orto). No, eh?

Roghi (dopo una breve pausa d’attesa). Sarà un po’ troppo presto.

Don Camillo (stizzito, in attesa ancora della risposta). Ehi, Giuditta, dico a te!

La Nàccheri (venendo avanti dalla scaletta, furiosa e schizzante veleno). Crederei che se ci fosse da vedere, tra me e la Giuditta, a me e non a lei dovreste domandare, perché con questo

mostrando il grosso binòculo e pigiando sulle parole

se ci fosse da vedere vedrei meglio io, che lei.

Don Camillo. Eh no, abbiate pazienza, Marianna. Anche con queste

mostra le lenti e se le inforca sulla punta del naso

tra me e il signor Roghi, vedo sempre meno io, che lui.

Roghi. Ah sí, grazie a Dio, la vista...

La Nàccheri. Ma anch’io, signor Roghi, anch’io! Non ho punto bisogno di lenti io, sa? né per leggere, né per cucire, né per veder qua entro certe cose, che Dio sa se s’avrebbero a vedere!

Don Camillo. Eh via, Marianna! Non è di cose da veder qua entro che si discorre; ma delle vetture giú a valle, Dio bono, se non si scorgano di ritorno dalla stazione.

Giuditta (che ha seguitato a guardare). Eccole, eccole! Già due! Ma vanno in giú!

La Nàccheri corre a guardare col binòculo.

Don Camillo. In giú? O come in giú? Possibile?

Giuditta. Sí. Eccone un’altra! La vettura di Dodo.

La Nàccheri. Ma che di Dodo! Quella di Dodo è la prima!

Giuditta. No, mamma; guardate bene: è la terza.

La Nàccheri. La prima!

Don Camillo. O la prima o la terza, se vanno in giú...

La Nàccheri (voltandosi di là verso il cognato, inviperita). Vi dico che è la prima!

Roghi. Mi par difficile che si possano distinguere a tanta distanza. Si vedran di quassú piccine piccine, cosí.