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64 prefazione

di sentimento che non ha mai soluzione, e perciò non può acquistare coscienza della sua vita, che è quanto dire del suo esser personaggio.

Ma, con tutto ciò, anch’ella cerca, a modo suo e per suoi fini, un autore; a un certo punto sembra contenta d’essere stata condotta davanti al Capocomico. Forse perché anch’ella spera di aver vita da costui? No: perché spera che il Capocomico le faccia rappresentare una scena col Figlio, nella quale metterebbe tanta della sua propria vita; ma è una scena che non esiste, che non ha mai potuto, né potrebbe, aver luogo. Tant’ella è incosciente del suo esser personaggio, cioè della vita che può avere, fissata e determinata tutta, attimo per attimo, in ogni gesto e in ogni parola.

Ella si presenta con gli altri personaggi sul palcoscenico, ma senza capire quello che essi le fanno fare. Evidentemente immagina che la smania di aver vita da cui sono assaliti il marito e la figlia e per cui anch’ella si ritrova su un palcoscenico, altro non sia che una delle solite incomprensibili stramberie di quell’uomo tormentato e tormentatore, e orribile, orribile, una nuova, equivoca levata di testa di quella sua povera ragazza traviata. È del tutto passiva. I casi della sua vita e il valore che questi hanno assunto agli occhi di lei, il suo carattere stesso, sono tutte cose che si dicono dagli altri e che ella solo una volta contraddice, perché l’istinto materno insorge e si ribella in lei, per chiarire che non volle affatto abbandonare né il figlio né il marito; perché il figlio le fu tolto e il marito la costrinse all’abbandono. Ma rettifica dati di fatto: non sa e non si spiega nessuna cosa.

È, insomma, natura. Una natura fissata in una figura di madre.

Questo personaggio mi ha dato una soddisfazione di nuovo genere, che non va taciuta. Quasi tutti i miei critici, invece di definirlo, al solito, «disumano» che sembra sia il peculiare e incorreggibile carattere di tutte indistintamente le mie creature — hanno avuto la bontà di notare, «con vero compiacimento», che finalmente dalla mia fantasia era uscita una figura umanissima. La lode me la spiego in questo modo: che, essendo la mia povera Madre tutta legata al suo atteggiamento naturale di Madre, senza possibilità di liberi movimenti spirituali, cioè quasi un ciocco di carne compiutamente viva in tutte le sue funzioni di procreare, allattare, curare e amare la sua prole, senza punto bisogno perciò di far agire il cervello, essa realizzi in sé il vero e perfetto «tipo umano». Certo è cosí, perché nulla pare che sia più superfluo dello spirito in un organismo umano.

Ma i critici, pur con quella lode, si sono voluti sbrigare della