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58 | prefazione |
bastare. Un bel giorno ella si troverà a esser madre, senza un preciso avvertimento di quando sia stato. Cosí un artista, vivendo, accoglie in sé tanti germi della vita, e non può mai dire come e perché, a un certo momento, uno di questi germi vitali gli si inserisca nella fantasia per divenire anch’esso una creatura viva in un piano di vita superiore alla volubile esistenza quotidiana.
Posso soltanto dire che, senza sapere d’averli punto cercati, mi trovai davanti, vivi da poterli toccare, vivi da poterne udire perfino il respiro, quei sei personaggi che ora si vedono sulla scena. E attendevano, lí presenti, ciascuno col suo tormento segreto e tutti uniti dalla nascita e dal viluppo delle vicende reciproche, ch’io li facessi entrare nel mondo dell’arte, componendo delle loro persone, delle loro passioni e dei loro casi un romanzo, un dramma o almeno una novella.
Nati vivi, volevano vivere.
Ora bisogna sapere che a me non è mai bastato rappresentare una figura d’uomo o di donna, per quanto speciale e caratteristica, per il solo gusto di rappresentarla; narrare una particolar vicenda, gaja o triste, per il solo gusto di narrarla; descrivere un paesaggio per il solo gusto di descriverlo.
Ci sono certi scrittori (e non pochi) che hanno questo gusto, e, paghi, non cercano altro. Sono scrittori di natura piú propriamente storica.
Ma ve ne sono altri che, oltre questo gusto, sentono un più profondo bisogno spirituale, per cui non ammettono figure, vicende, paesaggi che non s’imbevano, per cosí dire, d’un particolar senso della vita, e non acquistino con esso un valore universale. Sono scrittori di natura piú propriamente filosofica.
Io ho la disgrazia d’appartenere a questi ultimi.
Odio l’arte simbolica, in cui la rappresentazione perde ogni movimento spontaneo per diventar macchina, allegoria; sforzo vano e malinteso, perché il solo fatto di dar senso allegorico a una rappresentazione dà a veder chiaramente che già si tien questa in conto di favola che non ha per se stessa alcuna verità né fantastica né effettiva, che è fatta per la dimostrazione di una qualunque verità morale.
Quel bisogno spirituale di cui io parlo non si può appagare, se non qualche volta e per un fine di superiore ironia (com’è per esempio nell’Ariosto) di un tal simbolismo allegorico. Questo parte da un concetto, è anzi un concetto che si fa, o cerca di farsi, immagine; quello cerca invece nell’immagine, che deve restar viva e libera di sé in tutta la sua espressione, un senso che gli dia valore.