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SCENA PRIMA
Rosaria e il signor Τοtό.
Al levarsi della tela, la stanza è in disordine. Parecchie seggiole in mezzo alla scena, le une sulle altre, capovolte; le poltrone fuori di posto, ecc. Entra dalla comune Rosaria con la cuffia in capo e ancora i diavolini attorti tra i capelli ritinti d’una quasi rosea orribile manteca. Ha l’aspetto e l’aria stupida e petulante d’una vecchia gallina. La segue il signor Totò col cappello in capo, collo torto da prete, aspetto e aria da volpe contrita. Si stropiccia di continuo le mani sotto il mento, quasi per lavarsele alla fontana della sua dolciastra grazia melensa.
Rosaria. Ma scusi, ma perché vuole entrarmi in casa ogni mattina? Non vede che è ancora in disordine?
Totò. E che fa? Oh, per me, cara Rosaria...
Rosaria (con scatto di stizza, voltandosi, come volesse beccarlo). Ma come, che fa?
Totò (restando male, con un sorriso vano). Dico che io non ci bado... Vi lascio la chiave, perché la consegniate a mio fratello, il dottore, appena ritorna, poverino, dalla sua assistenza notturna all’ospedale.
Rosaria. Va bene. Potrebbe darmela sulla porta, la chiave, e andarsene, senza entrare.
Totò. Per me è ormai una cara abitudine, questa...
Rosaria. Ma dica un brutto vizio!
Totò. Mi trattate male, Rosaria...
Rosaria. Ho da fare! Ho da fare! E poi, secca, capirà! Io sono ancora cosí
indica i diavolini ai capelli