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l'imbecille 685


debba portarmi altrove il peso delle esperienze che mi è toccato fare in questi ventisei anni di vita.

Paroni. Dunque, vedi che —

Luca (subito). — che potrei anche farlo; ammazzarti come niente; poiché questo non mi trattiene. Ma non t’ammazzo. Né credo d’essere un imbecille, se non t’ammazzo. Ho pietà di te, della tua buffoneria. Ti vedo ormai, se sapessi, da cosí lontano! E mi sembri piccolo e carino, anche; sí, povero omettino rosso, con quella cravatta lí... Ah, ma sai? la tua buffoneria però, la voglio patentare.

Paroni (non udendo bene, nell’intronamento in cui è caduto). Come dici?

Luca. Patentare, patentare. Ne ho il diritto; diritto sacrosanto, giunto come sono al confine ormai tra la vita e la morte. E non ti puoi ribellare. Siedi, siedi là, e scrivi.

Gli indica con la rivoltella la scrivania.

Paroni. Scrivo? Che scrivo? Dici sul serio?

Luca. Sul serio, sul serio. Vai a sedere là, e scrivi.

Paroni. Ma che vuoi che scriva?

Luca (c. s. puntandogli di nuovo l’arma in petto). Alzati e vai a sedere là, ti dico!

Paroni (sotto la minaccia dell’arma, andando alla scrivania). Ancora?

Luca. Siedi e prendi la penna... subito la penna...

Paroni (eseguendo). Che debbo scrivere?

Luca. Quello che ti detterò io. Ora tu stai sotto; ma ti conosco: domani, quando saprai che anch’io come Pulino mi sarò ucciso, tu rialzerai la cresta, e urlerai per tre ore, qua, al caffè, dovunque, che sono stato un imbecille anch’io.

Paroni. Ma no! Che vai a pensare? Sono ragazzate!

Luca. Ti conosco. Voglio vendicar Pulino; non lo faccio per me. Scrivi!

Paroni (guardando sul tavolino). Ma dove vuoi che scriva qua?

Luca. Lí, lí, basterà che scriva su codesta cartella...

Paroni. Ma che cosa?

Luca. Una dichiarazioncina.

Paroni. Una dichiarazioncina a chi?