di nuovo). Questa povera signora guarda con tanto d’occhi...
Amabilmente, ambiguo:
Ora le spiego, signora... — Dunque, veda, l’errore del signor marchese, signora mia (errore, badi, scusabilissimo, e degno per me del maggior compatimento!) — è consistito semplicemente nel credere ch’io potessi realmente cascare in una trappola. L’errore non è irreparabile. Il signor marchese si persuaderà che, essendo io entrato qua per una finzione a cui ho preso gusto, questa finzione dev’esser seguita fino all’ultimo — fino al furto, sissignori ma non sul serio, ha capito? — che io, cioè, debba mettermi in tasca davvero trecentomila lire, come credeva lui (son piú di cinquecento, signora). — Faccio tutto gratis; anche il dramma necessario di questo furto, per il piacere che mi son preso! — E non temete, oh! che ponga a effetto la minaccia fatta balenare solo per tenere in rispetto il signor marchese: che vorrò prendermi il bambino, di qui a tre o quattr’anni! — Storie! — Che volete che me ne faccia io, del bambino? O temete forse un ricatto?
Maurizio. Ma smettila, via! Qua nessuno può pensarlo!
Baldovino. E se per esempio l’avessi pensato io?
Maurizio. Ti dico di smetterla!
Baldovino. Non il ricatto, no... — ma di condurre la finzione fino a godermi questo squisito piacere, di vedervi qua tutti affannati a scongiurarmi di non voler passare per ladro prendendomi un danaro, che pur con tanta industria mi si voleva far prendere!
Maurizio. Ma se tu non l’hai preso?
Baldovino. Bravo! Perché voglio che lo prenda lui, con le sue mani!
Vedendo comparire in gran subbuglio, affannato, pallidissimo, Fabio, sulla soglia dell’uscio a destra: