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fine, di ribrezzo, di schifo... essere disonesto. Che vuole che mi costi l’onestà? — Lei m’invita... sí, dico, doppiamente a nozze. Sposerò per finta una donna; ma sul serio, io sposo l’onestà.

Fabio. Ecco, sí e basta! Mi basta questo!

Baldovino. Basta? — Le pare che le basti? — Scusi, signor marchese; e le conseguenze?

Fabio. Come? Non capisco.

Baldovino. Eh, vedo che lei... — certamente perché soffre davanti a me e fa a se stesso una grande violenza per resistere a questa situazione penosa, pure d’uscirne, tratta con molta leggerezza la cosa.

Fabio. No, no: tutt’altro! Come, con leggerezza?

Baldovino. Permette? — La mia onestà, signor marchese, dev’essere o non dev’essere?

Fabio. Ma sí che dev’essere! È l’unica condizione che le pongo!

Baldovino. Benissimo. Nei miei sentimenti, nella mia volontà, in tutti i miei atti. — C’è. — Me la sento. — La voglio. — — La dimostrerò. — Ebbene?

Fabio. Che ebbene? Le ho detto che mi basta questo!

Baldovino. Ma le conseguenze, signor marchese, scusi! — Guardi: l’onestà, cosí come lei la vuole da me — che cos’è? — Ci pensi un po’. — Niente. — Un’astrazione. — Una pura forma. — Diciamo: l’assoluto. — Ora scusi, se io devo essere cosí onesto, bisognerà pure che io la viva — per cosí dire — quest’astrazione; che dia corpo a questa pura forma; che io senta quest’onestà astratta e assoluta. — E quali saranno allora le conseguenze? Ma prima di tutte, questa, guardi: — che io dovrò essere un tiranno.

Fabio. Un tiranno?

Baldovino. Per forza! — Senza volerlo! — Per ciò che riguarda la pura forma, intendiamoci! (Il resto non m’appartiene). — Ma per la pura forma, onesto come lei mi vuole e come io mi voglio — di necessità dovrò essere un tiranno, gliel’avverto. — Vorrò rispettate fino allo scrupolo tutte le apparenze, il che di necessità importerà gravissimi sacrifizii a lei, alla signorina, alla mamma; un’angustiosissima limitazione di libertà, il rispetto a tutte le forme astratte della vita sociale. E... parliamoci chiaro, signor marchese,