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Fabio (scattando per troncare subito quella domanda e quella ricerca nel taccuino). Ma no! scusi... cosí...

Baldovino (calmo, sorridente). Vede? Lei recalcitra fin dalla prima domanda!

Fabio. Ma certo! Perché...

Baldovino (subito, severo). Non è vero? dice che non è vero? E allora

si alza

mi scusi, signor marchese. Le ho detto che ho la mia dignità. — Non potrei prestarmi a una trista e umiliante commedia.

Fabio. Ma come! io credo che, anzi, cosí come vuol far lei...

Baldovino. S’inganna. La mia dignità (quella che può essere) posso salvarla solamente a patto che lei parli con me come con la sua stessa coscienza. — O cosí, signor marchese, o non ne facciamo niente. — Non mi presto a finzioni indecorose. La verità. — Mi vuol rispondere?

Fabio. Ebbene... sí... Ma non cerchi in codesto taccuino, per carità. Lei vuole alludere alla signorina Agata Renni?

Baldovino (non transigendo, seguita a cercare; trova: ripete): Agata Renni, precisamente. Ventisette anni?

Fabio. Ventisei.

Baldovino (guarda nel taccuino). Compíti il nove del mese scorso: dunque, nel ventisettesimo. E...

Guarda di nuovo nel taccuino

ci sarebbe una mamma?

Fabio. Ma scusi!

Baldovino. È scrupolo, creda, nient’altro che scrupolo da parte mia; affidamento per lei. Mi troverà sempre cosí preciso, signor marchese.

Fabio. Ebbene, sí, c’è la madre.

Baldovino. Quanti anni, scusi?

Fabio. Ma... non so... ne avrà cinquantuno... cinquantadue...

Baldovino. Soltanto? — Ecco, perché... — dico francamente — sarebbe meglio che non ci fosse. — La madre è una costruzione irriducibile. — Ma sapevo che c’era. — Dunque, abbondiamo un poco... diciamo cinquantatre. — Lei, signor marchese, avrà su per giú l’età mia... — Io sono sciupato. Ne mostro di piú. Ne ho quarantuno.