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622 | maschere nude |
SCENA OTTAVA
Baldovino, Fabio.
Baldovino (seduto, s’insella le lenti su la punta del naso e, reclinando indietro il capo). Le chiedo, prima di tutto, una grazia.
Fabio. Dica, dica...
Baldovino. Signor marchese, che mi parli aperto.
Fabio. Ah, sí, sí... Anzi, non chiedo di meglio.
Baldovino. Grazie. Lei forse però non intende questa espressione «aperto », come la intendo io.
Fabio. Ma... non so... aperto... con tutta franchezza...
E poiché Baldovino, con un dito, fa cenno di no,
Baldovino. Non basta. Ecco, veda, signor marchese: inevitabilmente, noi ci costruiamo. Mi spiego. Io entro qua, e divento subito, di fronte a lei, quello che devo essere, quello che posso essere mi costruisco cioè, me le presento in una forma adatta alla relazione che debbo contrarre con lei. E lo stesso fa di sé anche lei che mi riceve. Ma, in fondo, dentro queste costruzioni nostre messe cosí di fronte, dietro le gelosie e le imposte, restano poi ben nascosti i pensieri nostri piú segreti, i nostri piú intimi sentimenti, tutto ciò che siamo per noi stessi, fuori delle relazioni che vogliamo stabilire. Mi sono spiegato?
Fabio. Sí, sí, benissimo... Ah, benissimo! Mio cugino mi ha detto che lei è molto intelligente.
Baldovino. Ecco, lei forse crede, adesso, che io abbia voluto darle un saggio della mia intelligenza.
Fabio. No, no... dicevo, perché... approvo, approvo ciò che lei ha saputo dire cosí bene.
Baldovino. Comincio io, allora, se permette, a parlare aperto. Provo da un pezzo, signor marchese dentro un disgusto indicibile delle abiette costruzioni di me, che debbo mandare avanti nelle relazioni che mi vedo costretto a contrarre coi miei... diciamo simili, se lei non s’offende.
Fabio. No, prego... dica, dica pure...
Baldovino. Io mi vedo, mi vedo di continuo, signor mar-