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brar naturali e consuete. Egli se n’accorse — (s’accorge di tutto) — sorrise, e mi parlò di Descartes.

Fabio (stordito). Di chi?

Maurizio. Di Cartesio. — Eh, perché è anche — vedrai — d’una cultura, specialmente filosofica, formidabile. Mi disse che Cartesio...

Fabio. Ma in nome di Dio, che vuoi che m’importi di Cartesio, adesso?

Maurizio. Lasciami dire! Vedrai che te n’importerà! — Mi disse che Cartesio, scrutando la nostra coscienza della realtà, ebbe uno dei piú terribili pensieri che si siano mai affacciati alla mente umana: — che, cioè, se i sogni avessero regolarità, noi non sapremmo piú distinguere il sonno dalla veglia! — Hai provato che strano turbamento, se un sogno ti si ripete piú volte? — Riesce quasi impossibile dubitare che non siamo di fronte a una realtà. Perché tutta la nostra conoscenza del mondo è sospesa a questo filo sottilissimo: la re-go-la-ri-tà delle nostre esperienze. — Noi, che abbiamo questa regolarità, non possiamo immaginare quali cose possano essere reali, verosimili, per chi viva fuori d’ogni regola, come quell’uomo lí! Ti dico che, a un certo punto, mi fu facilissimo entrare a fargli la proposta. Parlava di certi suoi disegni, che a lui parevano piú che possibili, e a me cosí strampalati e inattuabili, che la proposta mia capisci? diventò subito d’una facilità, che piú ovvia, piú piana non si sarebbe potuta immaginare; d’una ragionevolezza, che chiunque avrebbe potuto accettarla. E sbalordisci! Non fui mica io a dirgli in prima di quella condizione del danaro; fu lui, subito, a protestare, risentito, che — danari niente! — non voleva neppur vederne da lontano. — Ma sai perché?

Fabio. Perché?

Maurizio. Perché è molto piú facile — sostiene lui — essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini, si dev’esser sempre. Il che non è facile.

Fabio. Ah!

Inquieto, smanioso, fosco, si mette a passeggiare per la stanza.

È... è dunque un uomo d’ingegno, a quanto pare?

Maurizio. Ah, di molto, di molto ingegno!