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il piacere dell’onestà 615


Fabio. Sí, sí... dimmi, dimmi... Ma già, è inutile! Lo hai prevenuto che non lo faccio padrone nemmeno d’un centesimo?

Maurizio. L’ho prevenuto.

Fabio. E ha accettato?

Maurizio. Se è qua con me! — Soltanto per essere perfettamente in grado d’adempiere agli obblighi che si assume con te — date queste condizioni — chiede (e mi sembra giusto) la liquidazione del suo passato. Ha qualche debito.

Fabio. Quanti? Molti? Oh, me l’immagino!

Maurizio. Pochi, no, pochi! — Perdio, lo vorresti anche senza debiti? Ne ha pochi. Ma bisogna che aggiunga — e me l’ha raccomandato lui stesso, bada, d’aggiungerlo — che sono cosí pochi non per mancanza di volontà da parte sua, ma per mancanza di credito da parte degli altri.

Fabio. Ah, benissimo!

Maurizio. Onesta confessione! Capirai che, se godesse ancora di un certo credito...

Fabio (prendendosi la testa fra le mani). Basta! basta, per carità! Dimmi il discorso che gli hai fatto. È mal vestito? com’è? malandato?

Maurizio. L’ho trovato un poco deperito, dall’ultima volta. — Ma a questo si rimedia. Ho già rimediato in parte. Sai, è un uomo su cui il morale può molto. Le cattive azioni che si vede costretto a commettere —

Fabio. — gioca? bara? ruba? che fa?

Maurizio. Giocava. Non lo lasciano piú giocare da un pezzo. Era d’una amarezza che accorava. Ho passeggiato con lui tutta una notte, per il viale attorno alle mura. Sei mai stato a Macerata?

Fabio. Io, no.

Maurizio. T’assicuro che è stata per me una nottata fantastica, tra lo sprazzare d’una miriade di lucciole per quel viale: accanto a quell’uomo che parlava con una sincerità spaventosa; e, come quelle lucciole innanzi agli occhi, ti faceva guizzare innanzi alla mente certi pensieri inattesi dalle piú oscure profondità dell’anima. Mi pareva, non so, di non esser piú sulla terra, ma in una contrada di sogno, strana, lugubre, misteriosa, ov’egli s’aggirava da padrone, ove le cose piú bizzarre, piú inverosimili potevano avvenire e sem-