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il giuoco delle parti 589


Silia. Non ti capisco... non ti capisco... non ti capisco...

Dice questo, prima con angoscia quasi rabbiosa, poi con ammirazione, poi con un tono quasi supplice.

Leone (carezzevole, accostandosi). Non puoi, cara. Ma è meglio cosí, credi.

Pausa. Poi a bassa voce:

Capisco io.

Silia (alzando appena lo sguardo su lui, con terrore). Che capisci?

Leone (calmo). Quello che tu vuoi.

Silia (c. s.). Che voglio?

Leone. Lo sai... e non lo sai tu stessa, quello che vorresti.

Silia (c. s. quasi mendicando una scusa). Oh Dio, Leone, io temo d’esser pazza.

Leone. Ma no! che pazza!

Silia. Sí, sí... d’aver commesso davvero una pazzia...

Leone. Non temere. Ci sono qua io.

Silia. Ma come farai?

Leone. Come ho sempre fatto, dacché tu me ne facesti vedere la necessità.

Silia. Io?

Leone. Tu.

Silia. Che necessità?

Leone (pausa, poi, piano). D’ucciderti.

Pausa.

Non credi che piú d’una volta tu me ne abbia dato la ragione? Sí, via! Ma era una ragione che partiva armata da un sentimento, prima d’amore, poi di rancore. Bisognava disarmare questi due sentimenti: vuotarsene. E io me ne sono vuotato, per far cadere quella ragione, e lasciarti vivere. non come vuoi, perché non lo sai tu stessa: come puoi, come devi, dato che non t’è possibile fare come me.

Silia (supplice). Ma come fai tu?

Leone (dopo una pausa, con gesto vago e triste). M’astraggo.

Pausa.

Credi che non sórgano impeti di sentimenti anche in me? Ma io non li lascio scatenare; io li afferro, li domo; li inchiodo. Hai visto le belve e il domatore nei serragli? Ma non credere: io, che pure sono il domatore, poi rido di me