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il giuoco delle parti 555


Ti pare impossibile, per esempio, che possa canticchiare qualche mattina... cosí... svagata... Eppure canticchia, sai? La sentivo io, certe mattine, da una stanza all’altra. Con una cara vocina trillante, quasi di bimba. Un’altra! Ma ti dico un’altra, non cosí per dire. Proprio un’altra; e lei non lo sa. Una bimba che vive un minuto e canta, quando lei è assente da sé. E se vedessi come qualche volta resta... cosí... con una certa luce di brio lontano negli occhi, mentre con due dita che non sanno si tira lentamente i riccioli sulla nuca... Mi sai dire chi è, quando è cosí? Un’altra lei, che non può vivere, perché ignota a se stessa, perché nessuno le ha mai detto: «Ti voglio cosí; devi esser cosí...». C’è il rischio ch’ella ti domandi: «Come?» Tu le rispondi: «Ma com’eri dianzi!» E che ella torni a domandarti: «Com’ero?» «Cantavi...» «Cantavo?» «Sí... e ti stiravi i riccioli sulla nuca... cosí...». Non lo sa; ti dice che non è vero. Non riconosce affatto se stessa nell’immagine che tu le prospetti di lei come l’hai veduta dianzi, seppure la vedi! perché tu la vedi sempre a un modo, come è per te, e basta. Che pena, caro mio! Ecco una cara, graziosa possibilità d’essere, ch’ella potrebbe avere, e non ha!

Pausa lunga, triste. E nella tristezza del silenzio, l’orologio di bronzo sulla mensola del camino suona le undici.

Leone (riscotendosi). Ah, le undici, Salútamela!

S’avvia frettolosamente, per l’uscio a sinistra.

Silia (subito, aprendo la vetrata). No... aspetta... aspetta un po’...

Leone. Ah, no, prego: la mezz’ora è passata!

Silia. Ti volevo dar questo!

Gli mette in mano, ridendo, un guscio d’uovo.

Leone. Ah! Ma non l’ho bevuto io! Ecco... guarda...

S’avvicina rapidamente a Guido e glie lo dà.

Diamolo a lui!

Guido automaticamente lo prende e resta li goffo col guscio vuoto in mano, mentre Leone, ridendo forte, se ne va.