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l’uomo dal fiore in bocca 531


L’Avventore. Ah! la sua signora?

L’uomo dal fiore (dopo una pausa). Mi sorveglia da lontano. E mi verrebbe, creda, d’andarla a prendere a calci. Ma sarebbe inutile. È come una di quelle cagne sperdute, ostinate, che piú lei le prende a calci, e piú le si attaccano alle calcagna.

Pausa.

Ciò che quella donna sta soffrendo per me, lei non se lo può immaginare. Non mangia, non dorme piú. Mi viene appresso, giorno e notte, cosí, a distanza. E si curasse almeno di spolverarsi quella ciabatta che tiene in capo, gli abiti. — Non pare piú una donna, ma uno strofinaccio. Le si sono impolverati per sempre anche i capelli, qua sulle tempie; e ha appena trentaquattro anni.

Pausa.

Mi fa una stizza, che lei non può credere. Le salto addosso, certe volte, le grido in faccia: — Stupida! — scrollandola. Si piglia tutto. Resta lí a guardarmi con certi occhi... con certi occhi che, le giuro, mi fan venire qua alle dita una selvaggia voglia di strozzarla. Niente. Aspetta che mi allontani per rimettersi a seguirmi a distanza.

Di nuovo a questo punto, la donna sporgerà il capo.

Ecco, guardi... sporge di nuovo il capo dal cantone.

L’Avventore. Povera signora!

L’uomo dal fiore. Ma che povera signora! Vorrebbe, capisce? ch’io me ne stessi a casa, quieto, tranquillo, a coccolarmi in mezzo a tutte le sue piú amorose e sviscerate cure; a godere dell’ordine perfetto di tutte le stanze, della lindura di tutti i mobili, di quel silenzio di specchio che c’era prima in casa mia, misurato dal tic-tac della pendola del salotto da pranzo. — Questo vorrebbe! Io domando ora a lei, per farle intendere l’assurdità... ma no, che dico l’assurdità! la macabra ferocia di questa pretesa, le domando se crede possibile che le case d’Avezzano, le case di Messina, sapendo del terremoto che di lí a poco le avrebbe sconquassate, avrebbero potuto starsene tranquille sotto la luna, ordinate in fila lungo le strade e le piazze, obbedienti al piano regolatore della commissione edilizia municipale. Case, perdio,