L’uomo dal fiore. Ringrazii Dio, se sono fastidi soltanto.
Pausa.
C’è chi ha di peggio, caro signore.
Pausa.
Io le dico che ho bisogno d’attaccarmi con l’immaginazione alla vita altrui, ma cosí, senza piacere, senza punto interessarmene, anzi... anzi... per sentirne il fastidio, per giudicarla sciocca e vana, la vita, cosicché veramente non debba importare a nessuno di finirla.
Con cupa rabbia:
E questo è da dimostrare bene, sa? con prove ed esempi continui, a noi stessi, implacabilmente. Perché, caro signore, non sappiamo da che cosa sia fatto, ma c’è, c’è, ce lo sentiamo tutti qua, come un’angoscia nella gola, il gusto della vita, che non si soddisfa mai, che non si può mai soddisfare, perché la vita, nell’atto stesso che la viviamo, è cosí sempre ingorda di se stessa, che non si lascia assaporare. Il sapore è nel passato, che ci rimane vivo dentro. Il gusto della vita ci viene di là, dai ricordi che ci tengono legati. Ma legati a che cosa? A questa sciocchezza qua... a queste noje... a tante stupide illusioni... insulse occupazioni... Sí, sí. Questa che ora qua è una sciocchezza... questa che ora qua è una noja... e arrivo finanche a dire, questa che ora è per noi una sventura, una vera sventura... sissignori, a distanza di quattro, cinque, dieci anni, chi sa che sapore acquisterà... che gusto, queste lagrime... E la vita, perdio, al solo pensiero di perderla... specialmente quando si sa che è questione di giorni...
A questo punto dal cantone a destra sporgerà il capo a spiare la donna vestita di nero.
Ecco... vede là? dico là, a quel cantone... vede quell’ombra di donna? — Ecco, s’è nascosta!