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l’uomo dal fiore in bocca 529


Eppure, quante volte certuni stanno lí intenti a guardarsi il dito che fa segni vani sul bracciuolo lustro di quella poltrona su cui stan seduti! Pensano e non vedono.

Pausa.

Ma che effetto fa, quando poi si esce dalla visita, riattraversando la sala, il rivedere la seggiola su cui poc’anzi, in attesa della sentenza sul nostro male ancora ignoto, stavamo seduti! Ritrovarla occupata da un altro cliente, anch’esso col suo male segreto; o là, vuota, impassibile, in attesa che un altro qualsiasi venga a occuparla.

Pausa.

Ma che dicevamo? Ah, già... Il piacere dell’immaginazione. — Chi sa perché, ho pensato subito a una seggiola di queste sale di medici, dove i clienti stanno in attesa del consulto!

L’Avventore. Già... veramente...

L’uomo dal fiore. Non vede la relazione? Neanche io.

Pausa.

Ma è che certi richiami d’immagini, tra loro lontane, sono cosí particolari a ciascuno di noi; e determinati da ragioni ed esperienze cosí singolari, che l’uno non intenderebbe piú l’altro se, parlando, non ci vietassimo di farne uso. Niente di piú illogico, spesso, di queste analogie.

Pausa.

Ma la relazione, forse, può esser questa, guardi: — Avrebbero piacere quelle seggiole d’immaginare chi sia il cliente che viene a sedere su loro in attesa del consulto? che male covi dentro? dove andrà, che farà dopo la visita? — Nessun piacere. E cosí io: nessuno! Vengono tanti clienti, ed esse sono là, povere seggiole, per essere occupate. Ebbene, è anche un’occupazione simile la mia. Ora mi occupa questo, ora quello. In questo momento mi sta occupando lei, e creda che non provo nessun piacere del treno che ha perduto, della famiglia che lo aspetta in villeggiatura, di tutti i fastidi che posso supporre in lei.

L’Avventore. Uh, tanti, sa!