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la vita che ti diedi 515


Francesca (balbettando, allibita). — che vuol dire?

Donn’Anna. — se vive ora in lei, come l’amore d’un uomo può vivere, diventar vita in una donna — quando la fa madre — ha capito?

Francesca (raccapricciando). Suo figlio? — Oh Dio! e come? — ma dunque — per questo? —

Donn’Anna. È arrivata in tale stato di disperazione, che non m’è stato ancora possibile «dirglielo». Le ho detto che era partito — per lei, per prudenza — per non comprometterla — e già è bastato questo, perché si vedesse, si sentisse morta —

Francesca. — lei? —

Donn’Anna. — lei, sí certo — nel cuore di lui! — Com’è possibile, le domando io ora, farglielo morire?

Francesca. Ma prima, prima ch’ella si compromettesse venendo qua, lei avrebbe dovuto annunziare a me che era morto!

Donn’Anna. Signora, ringrazi il cielo che non ho questo rimorso! Credevo d’averlo; di dovermelo fare; ma ho potuto vedere che fui invece ispirata da Dio nel mandare alla sua figliuola la lettera lasciata da lui, terminata da me.

Francesca (inorridita). Ma come, dopo? — dopo che era morto? —

Donn’Anna. Per lei non è «dopo»! — È stata una fortuna, le dico! Ispirazione di Dio! — Senza che ne sapessimo nulla né io né lei, nell’animo in cui si trovava là — se lui le fosse mancato — si sarebbe uccisa — creda!

Francesca. Ma lei, Dio mio, lei vuole tenere ancora la mia figliuola legata a un cadavere?

Donn’Anna. Che cadavere! La morte per lei è là, presso l’uomo a cui lei l’ha legata: quello, è un cadavere! — Io ho cominciato invece fin da jersera, mi sono provata fin da jersera a farle intendere —

Francesca. — che ha gli altri suoi figli — là —

Donn’Anna. — ma questo lo sa! Me n’ha parlato lei stessa con tanto strazio! Cose — m’ha detto — che fanno rabbrividire —

Francesca. — dei figli?

Donn’Anna. — sí: che se l’è fatti suoi, dopo — dopo che le erano nati — estranei! — Se li è potuti far suoi con l’a-