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Elisabetta (Scusandosi). Ho dovuto dare anche gli altri ordini —

Donn’Anna (per troncare le scuse). — sí, sí —

Elisabetta (seguitando). — e poi bisognerà che venga ancora il medico a vedere; e dar tempo che —

Donn’Anna (c. s.). sí, vai vai. — Oh guarda lí, —

indicherà per terra, presso Elisabetta

— una corona. Sarà caduta a una di quelle donne.

Elisabetta si chinerà a raccattarla, gliela porgerà e s’avvierà per l’uscio a destra. Prima che Elisabetta esca, ella tornerà a raccomandarle:

Come t’ho detto io, Elisabetta.

Elisabetta. Sí, padrona. Non dubiti.

Via.

Donn’Anna (guardando l’umile corona). Pregare — inginocchiare il proprio dolore... — Tenga, Don Giorgio.

Gli porgerà la corona.

Per me è piú difficile. In piedi. SeguirLo qua, attimo per attimo. A un certo punto, quasi manca il respiro; ci s’accascia e si prega: — «Ah, mio Dio, non resisto piú: fammi piegare i ginocchi!» — Non vuole. Ci vuole in piedi; vivi, attimo per attimo: qua, qua; senza mai riposo.

Don Giorgio. Ma la vera vita è di là, signora mia!

Donn’anna. Io so che Dio non può morire in ogni sua creatura che muore. Lei non può neanche dire che la mia creatura è morta: lei mi dice che Dio se l’è ripresa con Sé.

Don Giorgio. Ecco, sí! Appunto!

Donn’Anna (con strazio). Ma io sono qua ancora, don Giorgio!

Don Giorgio (subito, a confortarla). Sí, povera signora mia.

Donna Fiorina. Povera Anna mia, sí.

Donn’Anna. E non sentite che Dio per noi non è di là, finché vuol durare qua, in me, in noi; non per noi soltanto ma anche perché seguitino a vivere tutti quelli che se ne sono andati?

Don Giorgio. A vivere nel nostro ricordo, sí.