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la vita che ti diedi | 479 |
Don Giorgio. Lei dovrebbe forzarla a lasciare almeno per qualche tempo questa solitudine qua.
Donna Fiorina. Impossibile! Non tento neppure.
Don Giorgio. Almeno condursela con sé nella sua villa qua accanto!
Donna Fiorina. Volesse! Ma non esce di qua da piú di venti anni. Sempre a pensare, sempre a pensare. E a poco a poco s’è cosí... come alienata da tutto.
Don Giorgio. Eh, accogliere i pensieri che nascono dalla solitudine, è male, è male: vaporano dentro, nebbie di palude...
Donna Fiorina. L’ha ormai dentro di sé la solitudine. Basta guardarle gli occhi per comprendere che non le può piú venir da fuori altra vita, una qualsiasi distrazione. S’è chiusa qua in questa villa dove il silenzio, — su, ad attraversare le grandi stanze deserte — fa paura, paura. Pare — non so — che il tempo vi sprofondi. Il rumore delle foglie, quando c’è vento! Ne provo un’angoscia che non le so dire, pensando a lei, qua, sola. Immagino che le debba portar via l’anima, quel vento. Prima però, quando il figlio era lontano, sapevo dove gliela portava; ma ora? ma ora?
Vedendo comparire la sorella sulla soglia dell’uscio a destra:
Donn’Anna Luna, tutta bianca e come allucinata, avrà negli occhi una luce e sulle labbra una voce cosí «sue» che la faranno quasi religiosamente sola tra gli altri e le cose che la circondano. Sola e nuova. E questa sua «solitudine» e questa sua «novità» turberanno tanto più, in quanto si esprimeranno con una quasi divina semplicità, pur parlando ella come in un delirio lucido che sarà quasi l’alito tremulo del fuoco interiore che la divora e che si consuma cosí. S’avvierà all’uscio in fondo senza dir nulla: li sulla soglia aspetterà un poco: poi, vedendo Elisabetta che ritorna insieme con due fanti che recheranno una conca d’acqua fumante infusa di balsami, dirà con lieve dolente impazienza:
donn’anna. Presto, presto, Elisabetta. E fai come ti ho detto io. Ma presto.
Le due fanti, senza fermarsi, attraverseranno da un uscio all’altro la scena.