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diana e la tuda 463


Tuda (con disperazione, smarrendosi). Ah già, è vero... è vero... Oh Dio, come faccio? È vero... Cosí non posso piú... È — vero! Non posso piú! Oh Dio... oh Dio... come faccio?

A Giuncano:

Ma lei lo capisce? Là

indica lo zoccolo,

là con la mia carne, col mio sangue, con gli occhi che vedevano ciò che egli faceva di me, che mi prendeva, mi prendeva tutta per la sua statua; essere io, là — viva — e non essere nulla! Possibile? — Se non si fosse accorto che soffrivo! Ma se n’è accorto, se n’è accorto, se m’ha fatto questi occhi là nella statua! — Lo so, lo so: non dovevo essere nulla per lui; ma ero di carne, io! di carne che mi s’è macerata cosí! — Come faccio ora? come faccio?

Rompe in pianto, perdutamente

.

Nello studio s’è fatto bujo. Solo la statua, con la luce che cola dal lucernario, appare distinta. I quattro che vi stanno sono come ombre nell’ombra.


Giuncano (a Sara.) Andate via! andate via! Non avete piú nulla da fare qua voi! Lasciateci soli. Qua ora si farà giustizia. Andate via!

E appena Sara Mendel, senza dir nulla, se ne sarà andata, voltandosi a Sirio, mentre Tuda séguita a piangere:

Un fantoccio di cartapesta tu dovevi sposare per la tua statua! Ti sarebbe rimasto lí fermo, come doveva essere per la tua statua, là ferma anch’essa, come doveva essere: tempo senza età: la cosa piú spaventosa!

Sirio. Come, senza età?

Giuncano. L’età — che è il tempo quando diventa umano il tempo quando duole — noi, di carne: questa poverina che non è piú come dovrebbe essere per la tua statua, ma come può essere dopo avere sofferto quello che voi — tu e quell’altra — le avete fatto soffrire.

Tuda (ancora tra il pianto). Ma se lei...

Giuncano (pronto). Io? Io ho voluto rispettare in te la vita! Al contrario di quello che sta facendo ora lui!