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Sara. — perché l’avevo chiamata io —

Sirio (di scatto). — e se ne va!

Jonella. Mi pagherai almeno l’incomodo d’essere venuta fin qua.

Sirio. Ma sí, sta bene: ora vàttene!

Jonella. Addio, signora. Addio, Tu’!

S’avvia per uscire.


Tuda. No, aspetta, vengo anch’io. — Voglio soltanto dire qua alla signora

Jonella scrolla una spalla e se ne va

che il diritto di fare quello che ho fatto, sapete chi me l’ha dato? — Lui —

Sirio. — io? —

Tuda. — tu, tu, sí — approfittandoti di quanto ho patito io là, con tutto il corpo, sotto i tuoi occhi — per causa di lei —

indica Sara

Sara. — di me? —

Tuda. — di voi, — sí di voi che l’avete fatto apposta —

Sara. — ma no, carina —

Giuncano. — non lo negate! l’avete confessato a me! —

Tuda. — e lui l’ha capito che lo facevate apposta e se n’è approfittato!

Sara. Ah, questo sí: e anche di me, approfittato!

Tuda. Perché non v’amava piú! non v’amava piú!

Sara. Ma lo so! E gli è convenuto ostentare davanti a tutti che seguitava la sua relazione con me, perché nessuno credesse che aveva sposato voi sul serio.

Tuda. Ah, voi avevate capito questo? E vi siete prestata? — La sente, Maestro? — E allora proprio per cattiveria contro di me? non per gelosia?

Sara. Ma che gelosia, per voi!

Tuda. Ah sí? Ma mi dite che potevate esser voi da piú di me, quand’io ero là, tutta, com’ero, davanti ai suoi occhi?

Sara. Una cosí mirabile cosa, che per non far credere che gli appartenesse, ha preferito, come vi dico, approfittarsi di me!