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diana e la tuda | 459 |
Tuda. Qua non resto — no no — non starò piú qua — tornerò soltanto per lavorare, quando potrò di nuovo. Ora me ne vado.
Jonella. E io, allora...
Tuda. Ma non puoi restare neanche tu, Jonè! — Non perché voglia levarti il pane, ché l’ho schifato io sí, e il nome che m’ha dato, e gli abiti, e su, la casa... (che vuoi che abbia piacere, io, a fare la signora! non avrei fatto quello che ho fatto, se avevo questo piacere!) — Ma voglio che te ne persuada! Vieni, guarda!
La tira verso la tenda; ne afferra un lembo e con una violenta bracciata la fa scorrere con gli anelli lungo il bastone a cui è sospesa. Appare, grande, sul cavalletto, la statua non finita.
indica Sirio e Sara.
Jonella. Mi pajono gli occhi di una gatta —
Giuncano. — fustigata! —
Tuda. Odio c’è, odio, per il supplizio che m’hanno dato loro due! — Non li aveva lei
indica la statua
Sirio. Sí, sí, via! via! Basta!
Jonella. Per me! Io era venuta —