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diana e la tuda | 453 |
Giuncano. E voi, facendo cosí, l’avete lasciato lavorare: si vede!
Sara. A voi piacerebbe, adesso, lo so, che lavorasse e la finisse al piú presto, quella statua.
Giuncano. Avete fatto tutto questo per impedirgli di finirla?
Sara. No. Perché non ho mai creduto a ciò che dice. Non approfittate adesso della mia franchezza!
Giuncano. Io? della vostra franchezza?
Sara. Parlate del male che ho fatto —
Giuncano. — con perfidia —
Sara. — ve l’ho detto io stessa! — Ma nascondiamo, scusate, nascondiamo un poco i sentimenti che ho avuto la franchezza —
Giuncano. — il cinismo —
Sara. — il cinismo — di scoprirvi, anche a costo di un avvilimento, (perché v’assicuro che è un vero avvilimento per me dover riconoscere d’essermi risentita per una donna come quella)
Giuncano. — avvilimento? —
Sara. — avvilimento! avvilimento! — (e vi confesso che forse l’irritazione provata per questo avvilimento mi ha fatta piú crudele verso di lei di quanto avrei voluto) — Nascondiamo, dicevo, i sentimenti: veniamo ai fatti. È mia la colpa di quanto è accaduto?
Giuncano. Se l’avete confessato voi stessa!
Sara. Ah, no, piano! Non confesso piú nulla io allora, se la intendete cosí! Prima che mia, la colpa è stata sua.
Giuncano. Sí: se agire naturalmente è colpa.
Sara. Risentimento, avvilimento, irritazione, li ho provati? Sí. E anch’io naturalmente, allora! Abbiamo agito naturalmente tutt’e due, andate là: ma lei da sciocca, e io no!
Giuncano. Ah, voi no: questo è certo.
Sara. Ragionate con me.
A una guardata di Giuncano: