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diana e la tuda 451


Giuncano. Non si sa dunque dove sia?

Sara. Sirio contava che voi lo sapeste.

Giuncano. Io non so nulla. Non l’ho piú riveduta.

Sara. Nemmeno Caravani. Non l’avete cercata?

Giuncano. Io no.

Sara. Sarà andata al suo paese, o da qualche amica, o con qualcuno...

Giuncano (dopo una pausa). Doveva finire cosí.

Sara. Io ve n’avvertii a tempo. Non ho questo rimorso. Ma forse non aspetta che d’essere richiamata. Ha lasciato qua tutto. E aveva imparato cosí bene a far la signora...

Giuncano. Mi pare che abbia dimostrato che non sapeva che farsene!

Sara. Sí; ma se ora la pregherà lui di ritornare... Dovreste ammettere almeno che questo sorpassa, veramente, ogni limite di sopportazione.

Giuncano. Per voi?

Sara. Anche per me, sí.

Giuncano. Ma se siete stata voi!

Sara. Ecco, vedete? Io mi volevo confessare con voi; confessare fin dove arriva il male che ho potuto fare da parte mia.

Giuncano. Come se non lo sapessi!

Sara. Potrei non saperlo io...

Giuncano. Voi siete di quegli sciagurati che, per parere esperti della vita, fanno i cinici.

Sara. Non siamo piú avvezzi alla bontà, che volete? Fare i cinici, come voi dite, è pure un modo di dare leggerezza alla vita quando comincia a pesare.

Giuncano. La leggerezza della mosca!

Sara. Niente di piú leggero, infatti, e niente di piú seccante. Bisognerebbe che la vita fosse invece come una piuma. Ma sí! Mantenere l’anima continuamente come in uno stato di fusione; per non farla rapprendere, irrigidire. Ci vuole il fuoco, caro Maestro. Se dentro di voi il fornellino è spento? Se la morte viene e ci soffia su? Avevo una figliuola, lo sapete: m’è morta.

Giuncano si volta a guardarla, turbato, come a saggiarne la sincerità. Ella tentenna lievemente il capo, poi si porta agli occhi il fazzoletto.