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450 | maschere nude |
padre, prendeste ad amarlo come un vero figliuolo. Se ora lo odiate di nuovo per un’altra gelosia —
Giuncano. — c’è quanto basta, mi pare, per non tollerare che seguitiate a parlarmene! Sono qua perché m’ha scritto di venire; non per stare a sentir voi.
Sara. Lo so. E so anche che cosa vi vuol dire.
Giuncano. Ditemelo, e me ne vado.
Sara. Eh, ma non lo so di certo; lo suppongo. S’è provato a lavorare con altre modelle —
Giuncano. — e non ha potuto! —
Sara. — perché s’è fissato! — Ne verrà una, adesso, che vale cento volte di più! E anche quelle altre che ha scartate, valevano tutte piú di quella!
Giuncano. Basta andare a guardare là
indica dietro la tenda, dov’è la statua
Sara. — no no: io, per me —
Giuncano. — fingete di non capire —
Sara. — che non può piú fare a meno di lei? —
Giuncano. — che ormai non può piú finirla, quella statua, se non con lei —
Sara. Se è vero ciò che ha sempre detto...
Giuncano. Ma non è vero niente! E se n’accorge adesso che sente mancarsi tra il pollice e la creta il dono con cui lavorava —
Sara. — l’estro? tutt’altro! —
Giuncano. — ma che estro! il dono che lei faceva di sé, della sua vita, a quella statua!
Sara. Avrebbe dovuto odiarla —
Giuncano. — sí: la statua; se non fosse stata per lei l’unico modo di vivere davanti agli occhi di lui che, senz’intenderlo, se la bevevano e la trasformavano in quella creta. — Vorrebbe che io ora la inducessi a ritornare?
Sara. Suppongo.
Giuncano. Ma io la indurrei piuttosto a morire! — Sapete forse dov’è?
Sara. Come! Voi non lo sapete?
Giuncano. Io non lo so.
Sara. Neanche voi?