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diana e la tuda | 445 |
piú, piú che ribrezzo: è odio, proprio odio. — Mi sembrerebbe di contaminare in te, cosí bella, la vita, con mani non mie.
Pausa.
Esce. Altra pausa lunga.
Tuda rimane assorta a pensare. A un certo punto, perplessa, siede. Poi, come se avesse deciso di non andare piú da Caravani, si leva il cappello e lo tiene sulle ginocchia.
Dalla porta rimasta socchiusa, entra Caravani, col cappello in capo e il soprabito ripiegato sul braccio. Vede Tuda che gli volta le spalle, ferma in quell’atteggiamento, e, dopo aver guardato in giro per accertarsi che nello studio non c’è altri, le si accosta in punta di piedi, sporge il capo efa per baciarla su una guancia. Tuda scatta in piedi a tempo e gli dà uno schiaffo. Caravani, istintivamente, apre le braccia e lascia cadere a terra il soprabito.
Caravani (allo schiaffo). Oh!
Tuda. Non arrischiarti a toccarmi, perdio!
Caravani. Ma come! M’hai scritto di venire a prenderti!
Tuda. Sí: ma non per questo! Lèvatelo dalla testa! — È vero, di’, che ti vogliono comprare quella sudiceria di quadro?
Caravani. Che quadro?
Tuda. La «Diana». Quello che facevi con me. È vero, sí o no?
Caravani. Sí, è vero. Chi te l’ha detto?
Tuda. È anche un po’ mio, quel quadro.
Caravani. Sí. E ti prego di credere che non è niente affatto una sudiceria.
Tuda. Va bene. Se non è, faremo ora tutto il possibile perché diventi!
Caravani (sorpreso). Come?
Tuda. Lascia fare a me!
Caravani. Ma che vorresti farmi da modella?
Tuda. Da modella! Da modella! Ma a patto che sia brutto, piú brutto di te; brutto, brutto: una vera sconcezza!
Raccatta il soprabito da terra e glielo butta in faccia.