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diana e la tuda | 443 |
suo come piú la faccia s’incassa e piú si disegnano le rughe. — E me ne cresce l’odio. — Mentre tu vivi senza pensarti, tu non sai come sei, come ti vedono gli altri, da fuori —
Tuda (ingenuamente, aprendo le braccia per mostrarsi). — come? cosí, mi vedono! —
Giuncano. — ah, tu ne puoi comunque esser lieta! — Ma guaj se a me si rappresenta l’immagine di questo estraneo — d’uno che non sono io — che tante volte mi pare di portarmi appresso come un mendico stanco, e cui debbo fare, per quanto l’odii, l’elemosina di un po’ di pietà — io sí — di nascosto: oh, lagrime avvelenate da questa amarezza disperata e feroce. — Ma tu no: tu píglialo a calci —
Tuda. — io? —
Giuncano. — tu, sí — non voglio che batta alla porta di nessuno; meno che mai alla tua: vecchia carogna da seppellire, e calcarci sopra la terra — cosí!
Tuda. Oh Dio, no, che dice?
Giuncano. Me lo fai dire tu!
Tuda. Perché voglio...?
Giuncano. La vita non mi deve riprendere! non mi deve riprendere!
Tuda. Se già l’ha ripreso!
Giuncano. Non voglio! non voglio!
Tuda. Non sta a noi...
Giuncano (con forza). No: sta a noi, quando non si deve! A qualunque costo: quando non si deve.
Tuda. E se non si può?
Giuncano. Se non si può, si fa altrimenti!
Pausa.
Tuda. È appunto questo, vede? Mi trattenne questo, allora. Il timore che potesse essere per lei un tormento di piú.
Giuncano. Ma per forza! — Era finita per me, la vita, da tanto tempo: non m’importava piú di nulla. Vuoto; spento. L’avevo spesa tutta — pazzo — a fare statue! — Perché ti figuri che le abbia spezzate, fracassate, io?
Tuda. Ah, per questo?
Giuncano. Quando me le vidi davanti — là, immobili, per-