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diana e la tuda 417


spetto che ci possa essere qualcosa di ignoto a me, a cui il mio spirito, pur lí presente, rischia di rimanere estraneo; e sto con l’ansia che, se ci potessi entrare, forse la mia vita s’aprirebbe a sensazioni nuove, tanto da parermi di vivere in un altro mondo. Questo qui, invece... io non so: è cosí: coi paraocchi: non sente, non vede nulla: vuole una cosa sola.

Pausa.

Tuda (assorta). Se davvero è cosí ricco, come dicono...

Pausa.

Giuncano (assorto). Quando la vita si chiude...

Pausa.

Tuda. Crede che farà veramente ciò che dice?

Giuncano. Capacissimo di farlo.

Pausa.

Tuda. Ma quella signora...

Giuncano. Credo che conti ben poco per lui.

Tuda. Ah no: questo non lo credo. Benché, se può dire che, finita la statua...

Pausa.

Giuncano (come ripigliandosi). Ma tu non mi volevi dir questo.

Tuda. È vero. Io volevo dire

A questo punto, dalla porta rimasta aperta, entrano le due vecchie sorelle Giuditta e Rosa dette «Le Streghe», parate entrambe quasi carnevalescamente con fiocchi e nastri sui capelli lanosi: entrano come cieche, in cerca del caldo della stufa.

Giuditta. È permesso?

Tuda. Chi è? Ah, voi?

Rosa (a Giuditta). Vedi che hanno smesso da un pezzo?

A Tuda:

Il signorino dov’è?

Tuda. Doveva essere nel giardino. Non l’avete veduto?

Giuditta. Non l’abbiamo veduto.

Tuda. E allora non so: non dovrebbe essere lontano: è uscito come si trovava, col càmice addosso...