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406 maschere nude


Giuncano. Male di famiglia.

Tuda. Oh, puoi smetterle con me, sai, codeste arie! L’hai trovata davvero chi s’immischia nei fatti degli altri, e specie nei tuoi. Per me, puoi ucciderti qua, ora stesso: non mi volterei nemmeno a guardarti. Penso che prima, se seguito a farti da modella, avrai ucciso me!

A Giuncano:

Ma stia tranquillo che non s’uccide per ora: non la finirà mai, quella statua. E chi sa che questa non sia anzi una scusa per non finirla.

Sirio. No, cara: perché anzi stare a parlare con te, con lui; sopportare la vostra vista —

Tuda. — grazie! io me ne voglio andare: mi trattieni tu! —

Sirio. — ma dico anche quella degli altri, di tutte le cose ciò che lui chiama «vivere»

a Giuncano, con foga:

che cosa? viaggiare, come fa adesso mio fratello? giocare, amar donne, una bella casa, amici, vestir bene, sentire i soliti discorsi, far le solite cose? vivere per vivere? —

Giuncano. — sí, sí — e senza nemmeno saper di vivere —

Sirio. — già — come le bestie —

Giuncano. — ma che come le bestie! le bestie non possono impazzire! —

Sirio. — ah tu dici da pazzo? —

Giuncano. — da pazzo, come intendo io! —

Sirio. — grazie: l’ho fatto: me ne sono seccato: non ne ho piú neanche sdegno; ma tanta uggia, tanta afa,

voltandosi a Tuda

che potrei temere piuttosto il contrario: di contentarmi di ciò che ho fatto là

indica dietro la tenda, sottintendendo la statua

e dire che è finita, pur di finirla.

Giuncano. Mangi per la tua statua, dormi per la tua statua...

Sirio. Tu che non sei volgare, potresti risparmiarti un’ironia cosí facile. Ecco; ti rispondo: sí. E ti sfido a riderne.