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Sirio (ghignando). — sí, la favola del ragazzo! —

Tuda. — lo dicono tutti —

Sirio. — eh sí, circola, circola! —

Tuda. — che eseguiva la copia d’un piede, davanti

indica Giuncano

al suo studio.

Giuncano. Maledetto!

Sirio (a Giuncano). E invece, guarda, proprio per farti dispetto, ti dirò che sei stato tu —

Giuncano. — io? vorresti darne la colpa a me? — Sirio. — a te, a te: ma non colpa: la rabbia di vederti distruggere come un pazzo —

Giuncano. — ma questo, anzi, doveva farti passar la voglia —

Sirio. — no: quando vidi nel tuo studio lo scempio che avevi fatto di tutti i tuoi gessi —

Tuda. — già, peccato! —

Sirio. — tra tutti quei rottami sparsi là, di torsi, di gambe, di mani, di facce —

Giuncano. — ah, fu allora? —

Sirio. — sí: lo sdegno dei nostri corpi ancora in piedi —

Tuda. — sdegno? perché? —

Sirio (seguitando, senza badarle). — mentre là, per terra, quella rovina... Non so: le due cose: quelle statue infrante, tra i piedacci della gente accorsa — e quelle facce sguajate, quei corpi scomposti da prendere a calci e abbattere ah, quelli sí — a martellate... Sul serio, mi nacque lí, allora —

Tuda. — l’idea? oh guarda! —

Sirio. — di prendere anch’io in mano la creta, per mettere in piedi, alta, una statua: una sola.

Tuda (distornandosi dall’attenzione). Oh, io sto qua ad ascoltare. Bisogna che scappi. M’aspettano.

Sirio. Chi t’aspetta?

Tuda. Non ci sei tu solo, caro! Oh, sono di moda io, sai?

Ride

Anche all’estero! — Che ridere, Maestro! È stato jeri per l’inaugurazione a Villa Medici?

A Sirio

Vai, vai a vedere! Faccio parte ormai della storia del pen-