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diana e la tuda | 403 |
Sirio. Non far la stupida e rimettiti in posa!
Tuda. Ah, no no, basta: è quasi mezzogiorno: mi rivesto.
Si caccia subito addosso un «chimono» violaceo e vien fuori coi piedi nudi in un pajo di babbucce e un grappolo d’uva in mano e nell’altra un panino; carezza sul volto la prima statua presso la tenda e le dice:
È giovanissima e di meravigliosa bellezza. Capelli fulvi, ricciuti, pettinati alla greca. La bocca ha spesso un atteggiamento doloroso, come se la vita di solito le desse una sdegnosa amarezza; ma se ride, ha subito una grazia luminosa, che sembra rischiari e avvivi ogni cosa.
Giuncano. Mangia, sí, cara. Ti prometto e giuro che codesta Diana che ti dà il martirio sarà la prima su cui verrò a tentare l’esperimento.
Tuda. Che esperimento? Mi dica.
Giuncano. Ah, uno, cara, che se riesce, farà passare la voglia a tutti gli scultori di fare altre statue.
Tuda. E allora io?
Giuncano. Non farai piú la modella, almeno agli scultori.
Tuda. E ai pittori, sí? Meno male.
Sirio (a Tuda). Dobbiamo dunque rimandare? Fino a quando?
Tuda. Ma se non dovevo venire nemmeno questa mattina, scusa! Vede, Maestro, come mi ringrazia?
Sirio. Mi lasci cosí, e vorresti che ti ringraziassi per giunta?
Tuda. T’avevo pur detto, ricòrdati, di non cominciare. Non dovevi!
Giuncano. Ecco: benissimo: mai.
Tuda. Non dico «mai»; almeno fino al giorno che avrei potuto impegnarmi con lui per tutto il tempo che gli bisognava; dato che gli s’è proprio radicata oh, questa bella manía, di mettersi a far lo scultore.
Sirio. Ma che scultore! finiscila! Ho schifo solo a sentirlo dire.
Tuda. Non è uno studio di scultore, questo? Pare quasi finto, tant’è bello! Chi sa quanto ti sarà costato!
Sirio. La professione...
Tuda (a Giuncano). È vero che l’idea gli nacque —?